Ti faccio lavorare se rinunci a ogni diritto e tutela. Tanto, se mi dici di no tu, con tutti i disoccupati che ci sono uno che mi dice di sì comunque lo trovo. Così, più o meno, si esprime oggi la voce del padrone. Con altre voci, però, perché il padrone non lo vedi in faccia e spesso nemmeno sai chi è. Tu vedi gli intermediari delle agenzie interinali che sembrano immobiliaristi, con le inserzioni sulle vetrine e gli appuntamenti, ma invece di vendere case vendono te, se va bene. Mentre se va male ti dicono che non sei vendibile, oppure te lo fanno dire da uno psicologo. Quello, dopo averti fatto domande anche molto personali, ti fa uscire dall’agenzia senza il lavoro ma con qualcosa in più: la certezza che tutto dipenda dalla tua inadeguatezza, non da lui e tantomeno da loro.
Oppure vedi quelli delle cooperative che ti spiegano che da loro il padrone non esiste perché tutti sono un po’ padroni, e subito tu domandi chi deciderà la tua assunzione: la voteranno in un’assemblea? in un comitato di autogestione? E su queste domande il discorso si chiude ancor prima di cominciare.
Oppure molto, molto raramente vedi un dirigente pubblico che dispensa oro: un posto a tempo indeterminato. Ma a chi potrà darlo? A te che non c’entri niente con quelli a cui deve il suo buon contratto? E quelli chi sono? Guai a chiamarli padroni perché si offendono: loro sono amministratori pubblici, rappresentanti dei cittadini. In definitiva i tuoi padroni sarebbero i cittadini, ma non si è mai visto un cittadino che decida sui dirigenti e sui posti pubblici.
Oppure vedi un manager famoso, sul giornale o alla televisione, che parla di te e di tutti quelli che come te, con la loro fatica quotidiana, finora gli hanno garantito una fortuna. Dice che dovete smetterla di pretendere tutele e diritti sindacali, altrimenti la produzione verrà spostata in qualche altro paese e perderete il lavoro. In realtà lo stavate già perdendo, perchè il manager aveva già deciso di migrare, ma gli fa comodo raccontarsela così.
Ma il padrone vero dov’è? Una volta lo si vedeva in faccia, oggi no. Così tutto si mescola, parte e controparte, peso e contrappeso, responsabilità e irresponsabilità. Così salta la dignità del lavoro, salta il riconoscimento del lavoratore e dell’aspirante lavoratore come portatori di diritti. Saltano i contratti, le trattative sindacali e quindi anche i sindacati. Che, come i padroni invisibili, sono ormai come gusci: duri fuori (nel difendere le loro personali rendite di posizione) e vuoti dentro, senza ruolo e valori. Un po’ come i partiti che rimangono a guardare, pezzo a pezzo, il trasferimento all’estero di quel che resta dell’industria italiana senza battere ciglio, anzi con una vena di comprensione per le varie voci del padrone, così simili alle loro.
Visto il quadro generale, è molto importante che una folla di disoccupati, precari, cassaintegrati e variamente occupati ieri sera si sia ritrovata a Bologna davanti a un palco, attratta non soltanto da uno spettacolo uscito dalla Rai (ormai dismessa e ridotta a inutile laboratorio di censura) per offrirsi alla piazza. Su quel palco, infatti, ben oltre lo spettacolo c’era la Fiom, da sola nella sua battaglia per contratti di lavoro ancora degni di chiamarsi tali, ma circondata da tutta quella folla.
La folla, come nel voto amministrativo e nei referendum recenti, ormai si muove ben oltre sindacati e partiti perché ha capito che la posta in gioco è alta. Ha capito che difendere la dignità e il lavoro di alcuni vuol dire difendere i diritti umani e civili di tutti, e insieme ad essi una democrazia fatta a pezzi, come le fabbriche e il loro lavoro.