Apre la porta guarda e si stupisce:
le lastre di cemento inciso, bianche
schiariscono il giardino
nella notte bluastra
ma è più forte la luce di cristalli
di brina piovuti all’improvviso
allora si accanisce di giorno
e trasforma tutto quello che tocca
pietra legno metallo
ma gli ulivi nella terra rossa
girano i tronchi al vento
e le radici all’acqua
comunque combatte,
premendo ruggine e acciaio
sui fianchi cedevoli d’ardesia
striscia l’artiglio di un aratro
sulle zolle più secche
riempie la linea di una chiglia
e poi la posa a un incrocio di strade,
dove giungono piogge
e l’aria le prosciuga, da sé
c’erano un tempo estati differenti
col disordine liquido del mare
e l’impegno del corpo per la rotta
stringeva i muscoli asciutti
nell’orgoglio del viaggio,
gli occhi di greco aperti
contro un sole che acceca
tutto di sé spiegava nelle vele
l’andare e il ritornare a spiagge
di terriccio sbalzate in colline
tutta la forza nel groviglio
di braccia di corde
e delle reni tese
carne che si stringeva attorno
quasi senza parole
ora la voce è come un graffio di gola
incerti gli abbracci e le fughe
verso terra
torneremo dove la materia si disfa
tra le linee di giunco e strati di maggese
dove alle forme si chiede un respiro
un appoggio sui fianchi
le mani ferme nella presa, basse