Oggi è il primo maggio, festa dei lavoratori e del lavoro, di chi ce l’ha e di chi l’ha perso, di chi lo cerca e non riesce a trovarlo, di chi è precario, di chi di lavoro si è ammalato o è morto.
Oggi è il primo maggio, nonostante una regia concertata occupi la scena a Roma con la beatificazione di Wojtyla, a Marsala con quel che resta della triplice sindacale, in giro per l’Italia con negozi aperti e gente costretta a lavorare, in Libia con tornado italiani che bombardano.
Mentre il paese sprofonda nella crisi economica e nella cancellazione di ogni stabilità e tutela del lavoro (avviata in passato dal centrosinistra e poi portata a compimento dal centrodestra), la voragine si allarga e inghiotte tutto: dignità, solidarietà, rispetto delle differenze (tra chiesa e stato, sociali, sindacali), speranza.
Il primo maggio era un giorno di festa e di speranza, ma un giorno di festa non si sa più cosa sia (e non diamo la colpa ai cinesi, perchè a lavorare di festa hanno iniziato gli italianissimi centri commerciali, imitati poi dai negozi e dai servizi pubblici anche non essenziali, con l’apporto convinto di tanti sindaci non certo di destra).
Quanto alla speranza, per sperare occorre un futuro, mentre questo paese vive la condanna di un presente che si ripete, e non sa andare oltre.
Difficile dire cose differenti, anche oggi che è il primo maggio. Fate festa se potete.