Scatta l’irrigatore in un quadrato d’erba
tra ricami di mura e campanili d’ombra
poi si rivolge al cielo senza alcuna espressione,
nella ricchezza involontaria che cresce:
sensi di colpa, intima rassegnazione
battaglie sublimate in giardino
prima c’erano viole e ora
crochi, gialli e dritti nel sole
nati da una fitta d’orgoglio
nutriti d’insolenza
e semina un ronzìo subliminale
una leggera potenza di vita
sincronica nebulizzata razionata
precisa in assenza di vento
occhio non sente e orecchio non vede
dentro un corpo in disparte
che macina resti di pensiero
nello stomaco arreso: languore,
esito di un ricordo dietro il lancio dell’acqua,
difetto di ragione che rincorre vita
al fondo dell’umido
trascura i germogli e i fili d’erba teneri
gli inizi, le speranze