So chi sono quelli di viale Brin: lavoratori dell’acciaio dignitosi e tutti d’un pezzo. Tirano avanti le loro famiglie e sostengono da sempre la loro città.
So anche chi è la ThyssenKrupp, ancor prima del rogo di Torino. Ho vissuto alcuni anni a Terni e ricordo bene quando arrivarono i nuovi padroni tedeschi. E i loro tecnici, che abitavano in case di collina nascoste dagli ulivi per non avere né respiro né vista sulla conca ternana, mare di cemento e di fumi.
E so anche chi è questo Governo, un’accozzaglia di rampolli e rampanti senza prima né dopo, capace di parole sprezzanti che cancellano l’umanità stessa di chi porta sulle spalle un passato: un pensionato che guarda un cantiere e scuote senza fiducia la testa, uno del ceto medio che prova a ragionare, un professore che offre agli altri quello che sa. E un lavoratore che vuole garanzie, per sé e per tutti.
E allora capisco il senso del manganellare, ieri, gli operai di Terni che ancora osano pensare e chiedere.
I manganelli scendono già da un po’ sulle teste di chi pensa e chiede: sugli studenti ad esempio, anche di quindici anni soltanto, per il solo fatto di non abbassarsi di fronte a un Ministro che distrugge la scuola; o sugli abitanti che difendono le loro terre da grandi opere, trivellazioni, rifiuti e inquinamento; o sui tanti, sciolti oppure uniti, che si oppongono come possono alla loro stessa cancellazione.
Di quelle teste spaccate parleranno tanto, con la retorica vuota del post-vintage che copre la realtà e piace tanto ai giornali (i gettoni e i rullini; Marta, il pensionato e il professorone; il selfie, lo smartphone e Barbara d’Urso). Mentre qualcun altro, per loro conto, ancora menerà e tanto.
Ma noi sappiamo chi siamo: siamo quelli di viale Brin, sparsi per tutta Italia.