Ulrich Mühe era un grande attore. La parte protagonista nel film “Le vite degli altri” è il suo testamento, per il contenuto autobiografico, per la morte prematura e soprattutto per lo spessore dell’interpretazione. Mühe ha recitato con il corpo e con ogni minima parte del viso come soltanto un bravo attore di teatro saprebbe fare. E fino in fondo, fino al battito di ciglia della scena finale, fino all’ultima battuta: “No, questo è per me”. Ecco, questo post è per lui.
Alcuni giorni fa un gruppo universitario milanese, che sembrerebbe far capo a Comunione e liberazione, ha esposto davanti alla Cattolica una locandina del film “Le vite degli altri” taroccata: la famosa immagine di Mühe era stata sostituita con quella di Bruti Liberati, procuratore capo che sta indagando sul Presidente del Consiglio. Del resto, come ci si può aspettare rispetto per un attore da chi non rispetta nemmeno un magistrato…
Accade infatti che “Le vite degli altri” venga citato dai governativi italiani per insinuare parallelismi negativi tra le indagini in corso e i metodi dell’ex DDR, di cui il film parla. Si cerca così di depistare l’attenzione, manipolare l’informazione e magari anche minacciare. Il Presidente del Consiglio dice “Se cominciamo a entrare noi nelle vite degli altri…”, dimenticando che ha già cominciato, e da un pezzo. Ad esempio con l’uso proprietario e massiccio dei media, arma da rivolgere contro chiunque non sia dalla sua parte. Tra dossieraggio e spionaggio c’è forse qualche differenza? Se lo domandasse all’amico Putin, forse gli risponderebbe di no.
Mühe era un grande attore, e Le vite degli altri è un gran film. Donnersmarck lo ha scritto e diretto con una cura straordinaria. E’ lui stesso a parlare instancabilmente delle grandi e delle piccole scelte, delle ambientazioni e dei dettagli, in un commento fiume alle scene inserito tra i contenuti speciali del dvd. Vale la pena di seguirlo passo passo, perché è un esempio di critica cinematografica pura a cui, purtroppo, non siamo più abituati.
Dopo qualche anno ho rivisto il film, qualche sera fa. Non in tv, perché ho scelto di non averla, ma liberamente, fermando alcune immagini e ripetendo alcune sequenze. Ho osservato con occhi ancora più inquieti il personaggio del Ministro della Cultura, per l’analogia (quella sì obiettiva) con il potere esercitato in Italia sul corpo delle donne. E sulle attività intellettuali e artistiche, che invece chiedono, per loro stessa natura, di essere esercitate al di fuori di ogni condizionamento.
E poi ho rivisto lui, Ulrich Mühe, nella parte di un uomo inserito nel sistema ma capace alla fine di una scelta giusta, pagata a caro prezzo. La trasformazione del suo personaggio, combattuta ma graduale e coerente, è uno sforzo umano enorme, tutto concentrato su se stesso, che via via prende forma nei cambiamenti anche minimi di postura e nelle variazioni anche impercettibili dell’espressività del viso. Un grande lavoro, davvero, e il lavoro dell’attore merita sempre rispetto.