Quasi trent’anni di lavoro nel settore pubblico rappresentano un’esperienza sufficiente e diretta di alcune tendenze, a partire da quella di evitare responsabilità, anche se previste dai ruoli. Questi spesso si disperdono in un gioco di sovrapposizioni, sostituzioni o funzioni parallele mai formalmente attribuite, ma esercitate in virtù di un sistema (di connessioni politiche, amministrative, imprenditoriali, o anche strettamente private) che, per garantirsi, le favorisce e le sostiene.
La cultura dell’azione amministrativa come precondizione e strumento di iniziativa a favore dei cittadini è in disuso, e l’atto scritto che la rappresenta un’opzione desueta, perché implica impegni e possibilità di controllo.
L’atto torna a essere utile e utilizzato se serve o per giustificare ostacoli e impedimenti nei confronti di chi è in diritto di essere garantito o per garantire chi non ne è in diritto. E’ lì che s’innesta il potere anche partitico degli apparati pubblici, solidali con quelli privati ad essi più vicini, con l’esclusione automatica di chi si riconosce in una posizione paritaria e legalitaria e non di dipendenza.
Carenze professionali, umane, relazionali, coperte da comportamenti egocentrici e unite a rendite di posizione, completano uno stile gestionale dalle cosiddette vie brevi, rozze semplificazioni e imposizioni che ignorano la qualità organizzativa ed esaltano la pratica della convenienza, del ricatto e della contropartita.