Come si diceva riferendosi ai fatti di Genova fino al 20 luglio 2001, centinaia di procedimenti per lesioni ai manifestanti aperti nei confronti delle forze dell’ordine sarebbero stati poi archiviati per impossibilità di identificare gli autori dei singoli atti. Anche quello per l’uccisione di Carlo Giuliani sarebbe stato archiviato, per uso legittimo di armi e legittima difesa.
Ancora, però, non era finita. Nella notte del 21 luglio forze dell’ordine in tenuta antisommossa fecero irruzione nella scuola Diaz, utilizzata come dormitorio, arrestando tutti i 93 manifestanti presenti e picchiandoli con una violenza tale dal ridurne molti in barella. Oltre sessanta i feriti, tre molto gravi. Una scuola ridotta a mattatoio, sangue dappertutto.
A nessuno dei manifestanti “prelevati” furono comunicati lo stato di arresto e la relativa motivazione. La detenzione di armi, utilizzata a giustificazione di un simile comportamento, si rivelò un bluff: le prove esibite erano in realtà materiali appartenenti a un cantiere della scuola e due molotov introdotte nei locali dalle stesse forze dell’ordine.
Gli arrestati furono presto rilasciati e le accuse nei loro confronti risultarono infondate. I vertici delle forze dell’ordine responsabili dell’arresto e del massacro furono condannati in appello. Ciò non ha impedito loro avanzamenti di carriera che, collegati ai gravi comportamenti riconosciuti e puniti, attribuiscono una connotazione anche più fosca agli apparati d’ordine in Italia.
La perquisizione nella scuola Pascoli, vicina alla Diaz, fece sparire varia documentazione: raccolta dal servizio legale del Social forum e dal Media center, avrebbe dovuto provare gli episodi di violenza sui manifestanti verificatisi in quei giorni.