Ricordo quei giorni di luglio 2001 a Genova, straordinari e terribili, e insieme ripenso a questi dieci anni di grave crisi per l’ambiente, la giustizia sociale e i diritti democratici, in Italia e nel mondo. Oggi, col senno di poi, mi dico che avevamo proprio ragione. Non si poteva né si potrà mai consegnare il futuro del pianeta a pochi capi di stato, garanti della quotidiana rapina della maggior parte delle risorse mondiali ad opera di una minoranza privilegiata. Non si poteva né si potrà mai avallare lo spreco indefinito di energie, ipotecando la vita della terra e delle specie. Non si poteva né si potrà mai giustificare uno sviluppo malato che riduce a merce bruta ogni cosa, compresi gli esseri umani, le emozioni, i sentimenti. Non si poteva né si potrà mai assolvere la barbarie planetaria delle multinazionali e delle guerre, delle speculazioni finanziarie e criminali. Non si poteva né si potrà mai permettere che i beni comuni vengano sottratti alle collettività per diventare proprietà privata di pochi profittatori.
Se questi contenuti, portati a Genova da migliaia di movimenti di varia estrazione e provenienza, erano validi allora, oggi lo sono anche di più. Di fronte alla crisi mondiale una nuova speranza si sta muovendo, a volte in profondità a volte più in superficie, a latitudini differenti: dal nord Africa all’America Latina, dalla Spagna all’Italia… Quello che serve, ancora come allora, è collegare e unire individui e gruppi, dal piccolo al grande e viceversa, dal locale al globale e viceversa.
Su Genova si fatica anche a scrivere, perché è diventata sinonimo di un’enorme ferita aperta. Soprattutto qui in Italia, dove la democrazia è in blocco insieme a tutti i suoi apparati, politici e d’ordine, così distanti dal paese reale e dai suoi bisogni sempre più urgenti.
Eppure tutto cominciò con un enorme corteo pacifico. Era il 19 luglio, come oggi, e sfilavano i migranti: una marea umana di suoni e colori, una grande speranza, una bellissima danza di uguali…