Una cosa è certa: non si può punire nessuna violazione di legge con un’altra violazione di legge, né si può combattere il terrorismo, di qualsiasi matrice esso sia, con un atto di terrorismo. Non può essere definito altrimenti l’intervento di un corpo speciale statunitense in terra non sua (ma di un Pakistan tenuto all’oscuro, foraggiato e dipendente dall’America, come molti dei paesi neocoloniali), che avrebbe portato all’uccisione di Bin Laden, di altri insieme a lui e poi all’eliminazione del corpo. Quale norma del diritto nazionale o internazionale prevede una simile possibilità?
Alla notizia del blitz (su cui, come la Cia insegna, mai sapremo la verità) ho pensato per immediata associazione ad alcuni processi (quello di Norimberga e i vari celebrati contro gli aguzzini argentini) riguardanti crimini atroci contro centinaia di migliaia di persone, torturate, sterminate, fatte sparire.
Su un altro terreno, il Sudafrica è l’esempio palese di come un popolo ferito possa ricostruire un passato per non restarne prigioniero, possa elaborare lutti e rabbia per poi ricominciare a vivere.
Quale elaborazione e quale costruzione di un futuro differente possono leggersi nell’euforia di massa per un’esecuzione sporca, euforia speculare a quella che spesso accompagna le vendette di stampo integralista? E quale equilibrio può sperarsi dopo i commenti soddisfatti dei media di ogni latitudine?
Ma l’atteggiamento più grave appartiene ancora una volta agli stati, in testa quello americano, che invece di dare l’esempio alle piazze ne parlano la stessa lingua, un misto di irrazionalità e negazione dei diritti, dimenticandosi che la scorciatoia della violenza e dell’illegalità è una strada vecchia e infinita. Obama l’ha imboccata in pieno, mentre è evidente che per essere un uomo nuovo ne occorrerebbe un’altra.