Non ho particolare passione per Nanni Moretti e per i suoi film, ma stavolta ho visto Habemus papam due volte e non ho dubbi: è proprio bello. Tanti gli echi (provenienti da arti visive, teatro, cinema e musica), profonde le domande che pone (su solitudine, identità e libertà dell’uomo, sul loro rapporto con il sistema, sul senso di comunità), come anche i dubbi, tradotti in un’ironia critica a volte pungente a volte amorevole, ma sempre partecipe della condizione esistenziale e, da questo punto di vista, più matura.
Se nulla sfugge all’ironia (religione, psicanalisi, informazione e comunicazione, così come i suoi professionisti), il film si esprime anche in altri toni (poetico, umoristico, sarcastico, drammatico) che, quando riescono a fondersi, diventano una sinfonia di immagini, suoni e simboli in omaggio all’umanità tutta, individuale e collettiva.
Bravi gli attori, bravissimo Michel Piccoli, non facile la sceneggiatura e complessa la colonna sonora, sofisticato il montaggio anche nell’inserimento delle immagini di repertorio. Bella la scena dei cardinali che giocano a pallavolo in un torneo a squadre di tutti i continenti (cose dell’altro mondo, verrebbe da dire, ma di un mondo migliore). E straordinaria quella in cui battono il tempo e ballano per accompagnare Todo cambia cantata da Mercedes Sosa, voce della resistenza alla dittatura argentina.
Difficile non pensare alla storica connivenza delle gerarchie ecclesiastiche con le dittature e le guerre come, più in generale, alla pesante ingerenza del Vaticano in ogni campo, soprattutto in Italia.
Questo film, però, evoca ma non esplicita, suggerisce ma non denuncia, domanda ma non risponde, affidando a una parabola dai contenuti intensamente umani alcuni spunti sulla possibilità di cambiamento. Anche nella sua conclusione secca, con un uomo che, benché sequestrato dal sistema religioso, umile e sincero rinuncia al papato per continuare a cercare se stesso.