Carlo Giuliani

Bisogna vivere in strada per poterne parlare. Anche d’inverno, quando un vento teso morde i caruggi agli angoli e ci s’infila e fruga. Sibila con toni bassi, rasoterra. I randagi, al riparo in qualche rientranza, lo ascoltano e a volte gli rispondono.
Quel giorno era luglio. Un vento più calmo inseguiva la pioggia e la spostava oltre. Asciugava, puliva, riordinava i bivacchi di gente venuta da fuori. Sparsa nelle periferie, lì veniva respinta se si avvicinava al centro.
La città era ormai sotto assedio, in poche ore l’avevano presa, isolata e divisa con muri, facciate finte, transenne, blindati di traverso. Avevano recintato il mare. Un elicottero sopra il porto tracciava cerchi sempre più stretti.
Non conosco la storia, mi hanno appena spiegato le guerre di conquista e le adunate del sabato, come si è resistito tra i paesi e la macchia, imparando la forza per necessità. Sono un giovane esile, piccolo come un bambino, che vive per strada.
Per strada, quel giorno, ho visto giovani spingere muri a mani nude e cadere senza rialzarsi. Non si toglie l’aria a chi la respira, una città a chi la vive.
Non mi ero mai coperto il viso, mai, nemmeno d’inverno per il sospiro gelido del vento. Ho la pelle sottile, quasi trasparente, e lo sguardo chiaro, diritto. Quel giorno, però, ho visto troppo. Quando si vede troppo lo sguardo s’offusca e prende traiettorie strane, cerca salvezza forse, o un po’ di dignità. Ho detto ci sono coprendomi la faccia, ci sono anch’io ribellandomi. Ci sono anch’io che vivo per strada senza muri, tra i randagi sparsi senza storia.
Avevo visto troppo. E poi più niente, né gli altri né la strada del mare, né il cielo sopra a farmi da coperta.

Immagine anteprima YouTube

 

Questa voce è stata pubblicata in scritti personali, Uncategorized e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.