Il quotidiano Repubblica sta ormai gareggiando con i peggiori giornali di gossip, quelli con il macro obiettivo puntato con accanimento sui dettagli, positivi degli amici e negativi dei nemici. Metti un paio di chiappe cadenti sotto il sole da una parte e la lucida e sorridente eleganza di otto neo-ministre dall’altra e il gioco è fatto. Ma c’è di più, perché a questa strategia similgiornalistica di accompagnano anche: un sostegno sbracato e privo di elementi oggettivamente fondati a un fantoccio innalzato sul carro carnevalesco di un nuovo governo, anche per interesse diretto di chi paga il giornale (e qui non ci si riferisce ai lettori, che purtroppo ancora lo comprano, ma a chi possiede letteralmente la testata); una guerra senza quartiere a ogni opposizione che si muova al di fuori di questo scenario di soldi e interessi che dettano la linea; una semplificazione o ancor peggio una negazione spaventosa di ogni visione della realtà un po’ più complessa della secca contrapposizione tra icone (Renzi-Grillo, ad esempio, ma il meccanismo potrebbe valere per chiunque sia dotato di propria visibilità ma non sia allineato al Repubblica-pensiero); e infine il pericoloso mimetismo con cui la cifra tipica di certi giornaletti che si sfogliano dal parrucchiere (almeno rispettabili per una coerenza esplicita tra copertina e contenuto) viene fatta propria e messa al servizio di un’immagine esteriore da ammiraglia del giornalismo italiano, rivolta a lettori che si presumono acculturati e nemmeno troppo reazionari. Specie negli ultimi tempi questa tendenza si è accentuata, secondo la modalità oscena per cui si prende l’osso nemico e lo si stringe tra i denti fino a stritolarlo, mentre si lecca quello amico e non certo per disinteresse. Vedasi l’accompagnamento di Renzi al soglio governativo come si trattasse di un cavallo di retrovia su cui puntare per fare il colpo gobbo (a proposito, ing. De Benedetti, a quando anche un investimento in scommesse on line come fa Rcs?) e la gestione davvero sconcertante delle notizie riguardanti la presentazione del nuovo governo: una sfilata, chissà perché, soprattutto di donne, in abiti e con accessori descritti nei più minuziosi dettagli, compresa l’altezza dei tacchi. Ma giorni prima c’erano state le auto guidate dall’ex premier e dal suo successore, sollevando interrogativi sul simbolismo profondo che distingue una Smart da una Lancia e concludendo che una Smart (naturalmente guidata da Renzi) è molto, molto meglio. Pubblicità occulta per la Smart o cos’altro? Comunque il massimo si è raggiunto con i tre inconsapevoli figlioli di Renzi, vestiti, pensate un po’, di bianco rosso e verde come la bandiera italiana. Poveri loro e povera Repubblica, qui intesa come giornale ma anche come forma di un governo influenzato nel suo devastante svuotamento: di senso e di regole, sostituite con disinvolto compiacimento dall’apparenza di chi ci sbatte in faccia quel che può procurarsi non certo sulle bancarelle del “tutto a un euro” o alla Caritas. Questo è il rispetto che le élites, sempre più aggressive anche nel nostro paese, hanno per il “dolore vero delle persone” (cfr. Renzi) e per quella povertà di cui sono le prime responsabili. Complice un’informazione sempre più scadente e asservita, magari anche convinta di meritarsi il Pulitzer per aver elevato il gossip, con tanto di gallerie fotografiche e inserti multimediali, a chiave di lettura politica: dal grande schermo al tabloid è in atto una massificazione del vuoto senza precedenti, capolavoro pop di grande e incontrastato successo.