Torno su Wallace Stevens e su “The Snow Man”, poesia che amo tantissimo, perchè nel frattempo un traduttore anonimo mi ha inviato una sua versione in italiano. Si tratta di un’operazione così libera da sfiorare, in certi punti, l’arbitrarietà. Per questo ringrazio doppiamente. Spero anche che prima o poi il fantasma di questo traduttore si materializzi, chiunque sia e dovunque si trovi.
Fiumi di inchiostro si sono scritti sui traduttori – traditori, menti abitate dalla voce degli altri. Infaticabili e malpagati, tormentati fino all’ossessione da una sola parola o da un frammento, dobbiamo loro la possibilità di avvicinarci a un’infinità di testi altrimenti incomprensibili. A volte sono raffinatissimi, scrittori e critici insieme, eppure bruciano nel fuoco sacro di qualche piccola o grande babele la loro hýbris creativa, sublimando nel metodo e nella disciplina ogni spinta alla trasgressione.
A volte rincorrono i “loro” scrittori per una vita intera, tessendo tele di prove e controprove attraverso epistolari che restano, offrendo materiale ulteriore perchè l’attività critica avanzi e qualche segreto in più possa svelarsi. Lo stesso Renato Poggioli fece così con Stevens, in un confronto rispettoso e tormentato che ancora oggi ci parla. Erano gli anni Cinquanta mentre oggi siamo nel terzo millennio, ma la sostanza non cambia: rigore e libertà, sempre.
Riporto di seguito il testo originale e la sua versione anonima. In fondo, c’è qualche somiglianza tra chi traduce e l’uomo di neve stevensiano: osservazione oggettiva, rispecchiamento, attesa di un qualche disgelo.
One must have a mind of winter
To regard the frost and the boughs
Of the pine-trees crusted with snow;
And have been cold a long time
To behold the junipers shagged with ice,
The spruces rough in the distant glitter
Of the January sun; and not to think
Of any misery in the sound of the wind,
In the sound of a few leaves,
Which is the sound of the land
Full of the same wind
That is blowing in the same bare place
For the listener, who listens in the snow,
And, nothing himself, beholds
Nothing that is not there and the nothing that is.
Bisogna avere la mente dell’inverno
per osservare il gelo e le fronde
dei pini incrostate di neve;
E avere avuto freddo tanto tempo
per vedere i ginepri martoriati dal ghiaccio,
gli abeti ruvidi fra scintillii lontani
del sole di gennaio; e non pensare
a tutte le miserie nel mormorio del vento,
nel suono di poche foglie,
che è il suono della terra
piena dello stesso vento
che soffia in quello stesso luogo spoglio
per chi è in ascolto, e ascolta nella neve,
e, nulla di se stesso, vede
là il nulla che non c’è ed il niente che è.