Dovunque si è andata affermando una nuova forma di colonizzazione, aggressiva e diffusa, che comporta il controllo e lo sfruttamento di territori e risorse con l’imposizione di modelli di vita devastanti. Rispetto a quelle tradizionali, questa colonizzazione ha polverizzato il concetto di confine nazionale e la stessa impalcatura democratica degli stati, prima svuotati e poi superati in nome di una trasversalità che non è transnazionalità ma cartello, trust, un assalto continuo alla vita e all’indipendenza di intere popolazioni.
In Europa, ad esempio, non esistono consoli e proconsoli di vecchia rappresentanza ma nuove e dinamiche figure di colonizzatori, che agiscono come terminali di interessi finanziari e promoter. Sono élites molto ristrette, mobili e intercambiabili, fatte da individui che si bruciano in fretta per essere sostituiti da altri più rapaci. Hanno in appoggio la rete dei media che, con altrettanta aggressività e mistificazione, garantiscono il consenso e rafforzano il modello, sovrapponendo alla realtà una sua lettura stravolta, funzionale all’annientamento di qualsiasi capacità critica.
Così operano a pieno ritmo intere fabbriche del falso, costruite spesso con sciatteria (tanto la soglia culturale si è abbassata) e a volte con arte (molta borghesia italiana ama le bugie ben vestite). E così, poveri e meno poveri, ignoranti e meno ignoranti, tutti si cade nella stessa ragnatela, diventando moltiplicatori di falso, macchine stupide del sistema.
Anche chi conserva un po’ di spirito critico non è immune dal rischio, perché contestando i molti fili di quella ragnatela finisce, di fatto, per tessere sempre lì dentro. Questa è forse la fattispecie più subdola e pericolosa della colonizzazione del pensiero, la trappola che imprigiona i più liberi.
Tanto per fare un esempio, se questo fine settimana avessi dato retta all’agenda mediatica italiana (tentacolare anche in Internet, pure la rete andrebbe decolonizzata), avrei fatto e scritto altro. Tanto c’era da dire: di un Ministro della Giustizia colluso con detenuti eccellenti; di Scalfari e Repubblica, imbonitori reazionari di una grossa fetta di borghesia italiana ancora convinta di essere progressista (e invece: squadrismo buono, di tacco e di punta, ora anche in cerca di benedizione papale); del negazionismo (terribile) da perseguire per legge (altrettanto terribile: a quando una legge che persegua chi dice qualsiasi stupidaggine? o che persegua chi dice la verità? per caso è lì che si vuole arrivare?), per orgogliosa trovata di chi non ha mai impedito nemmeno la ricostituzione del partito fascista o di qualche suo succedaneo, con il quale peraltro governa; di Dario Fo che chiede al Vaticano lo spazio per portare in scena le idee di Franca Rame, quando ancora, buon per noi, esistono le piazze; del terzo rogo contro i No Tav; dei giovani arrestati durante la manifestazione del 19 ottobre a Roma, tutti poi rilasciati perché incolpevoli (e nessuno lo dice); dell’America che ci spia, quasi fosse una novità; del grande statista Berlusconi e di tutti i suoi amici, passati, presenti e futuri, grandi statisti anche loro, e per questo incapaci di dargli il benservito; della Terra dei Fuochi; di un Presidente della Repubblica che agisce come Capo del Governo, complice tutto il Governo e gran parte del Parlamento; del debito che cresce e della nostra incapacità di analizzarlo, ricusando chi ne è responsabile.
La lista potrebbe continuare, ma è loro e non mia, il disastro è loro e non mio. La decolonizzazione passa anche da qui, dallo sfilarsi dalle loro agende fatte di cattive notizie. Se fosse per loro, ci nutrirebbero di cattive notizie e di paura, per poi presentarsi come salvatori. Loro, i salvatori, quando invece sono i nuovi colonizzatori della vecchia Europa e di questa povera Italia del ventunesimo secolo.
In giro, però, per fortuna c’è anche altro: la capacità di creare e di resistere, di amare, di ridere e sorridere, di essere solidali, essenziali, originali, di essere in definitiva se stessi. Questa è la scommessa quotidiana, scoprire spazi inimmaginabili di umanità integra sfuggiti alla colonizzazione, spazi da difendere ma soprattutto da vivere senza timori, convinti che sia giusto così.
Proprio ieri ne ho visto un esempio: pezzi di vecchie macchine che un meccanico (Adino Amagliani), nel corso della sua vita, ha fatto diventare arte, poesia e visione del mondo, sculture per tutti che un fotografo (Alberto Raffaeli) ha poi moltiplicato in immagini, amplificando con spirito di servizio il messaggio di un’arte materiale e spontanea. Un esempio di sensibilità, non soltanto artistica, di due uomini differenti ma insieme, quasi a dire: noi siamo qui (anche in questa maledetta domenica, in cui alcuni parleranno dell’ultimo “fondo” di Scalfari mentre altri moriranno di fame), per offrire qualcosa a chi vuole, a chi può.
Scriveva Brecht:
Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perchè su troppe stragi comporta silenzio
Serve invece liberarsi dalle rappresentazioni del negativo, tutte interne alla logica di chi ci vuole replicanti, incapaci di cultura autentica. Che invece va ricostruita con tenacia su altri terreni, da strappare ai nuovi colonizzatori così come fa l’indigeno che protegge la sua foresta.
E allora parliamo di alberi, anche per parlare di noi e di tutto quello che siamo, indipendentemente da loro. Se fosse ancora vivo, oggi, forse anche Brecht ne parlerebbe.