Nel mio archivio delle poche parole indispensabili c’è un piccolo manifesto per le minoranze che ho quasi imparato a memoria: parole dure e luminose, nate dall’incontro di Fabrizio De André con i libri di Alvaro Mutis. E poi con Mutis, che ora non c’è più. Come De André, ma le parole restano.
Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante
sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono
al di sopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità
Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie
al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie
Coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un’anestesia
come un’abitudine
Per chi viaggia in direzione
ostinata e contraria
col suo marchio speciale
di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti
muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte
una goccia di splendore
di umanità di verità
Per chi ad Aqaba curò la lebbra
con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio
di gelosie devastatrici
e di figli con improbabili nomi
di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità
Ricorda Signore
questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto
che la fortuna li aiuti
come una svista
come un’anomalia
come una distrazione
come un dovere