In tempi così insidiosi per la democrazia italiana, ai quali si vorrebbe garantire una durata indefinita anche modificando la Costituzione, salire sul tetto del Parlamento per denunciarne i tentativi è il minimo che un parlamentare possa fare. Specie se l’uso delle prerogative parlamentari, e della loro efficacia democratica, viene continuamente piegato a interessi che non riguardano i cittadini ma la necessità che un’élite di autorappresentati continui a garantirsi poltrone, affari, impunità. Semmai il problema è un altro: dodici gatti (parlamentari Cinque Stelle, e chi altrimenti? subito accusati di randagismo istituzionale) saliti sul tetto del Parlamento esprimono un’impotenza reale con un gesto minimamente proporzionato alla gravità dei fatti che giustamente denunciano. Su quel tetto dovrebbero salire milioni di cittadini sempre più esautorati, ora perfino dal potere di difendere la loro Costituzione. Sì, loro, come è loro il diritto di difendersi dalla crisi e dai rigurgiti autoritari delle forze oggi in campo.
Quello del Parlamento è un tetto che scotta, perché spazio simbolico di tutto il fuori che preme per salvarsi e per autodeterminarsi. Ed è miope non comprendere che, allo stato dei fatti, piccoli atti di disobbedienza istituzionale sono il male minore: segnalano senza violenza l’esasperazione che cresce, esorcizzano i forconi alla porta.