Eletti i presidenti di Camera e Senato, media e partiti su buttano sulla notizia più golosa: una manciata di voti provenienti dal Movimento 5 Stelle determinante per l’elezione di Grasso anziché Schifani, segno di una spaccatura nel Movimento. Parlano di spaccatura ma non parlano della voragine aperta dal Movimento nelle logiche di apparato. Senza quella voragine probabilmente né la Boldrini né Grasso oggi sarebbero presidenti di Camera e Senato, e nemmeno ci sarebbe un parziale rinnovamento negli eletti alla Camera e al Senato.
Ai 5 Stelle si deve doppia gratitudine: per le campagne sostenute in questi anni, in grande e sbeffeggiata solitudine; per la limpidezza con cui sono entrati nel palazzo, senza cedere a tatticismi, scambi e ricatti che hanno reso la democrazia una specie di moribonda.
La Boldrini e il partito che la esprime (poco più di un tre per cento alle elezioni, ben sotto la soglia di sbarramento) dovrebbero portare un cero grande così ai 5 Stelle, mentre lo stanno portando a Bersani: vedremo cosa potrà farne. E, ancor di più, Grasso e il partito che lo esprime sono debitori ai 5 Stelle perché, con la loro chiusura a qualsiasi compromesso con altre forze politiche (altri al loro posto avrebbero fatto altrettanto? chiedete a uno a caso, per esempio a D’Alema) e un pizzico di ulteriore, disobbediente generosità, hanno arginato il candidato della destra.
A me piacciono parlamentari così, fuori dagli schemi, da tattiche micidiali e anche da lunghe rappresentanze in istituzioni, per sola convenienza oggi definite “società civile”. Ma soprattutto generosi, al punto tale da non rendersene nemmeno conto. Non cambierei nemmeno uno di loro con chi oggi, ancora una volta, ha fatto “tuttomio”: con la superbia di sempre, nonostante le sonore sconfitte, nella società e alla prova elettorale. La rappresentanza di Camera e Senato a un’unica parte politica, rappresentativa di appena un quarto degli elettori, è uno schiaffone a quella stessa democrazia parlamentare di cui ci si proclama paladini a parole. Anche in spregio a esercizi di democrazia diretta, così preziosi in questa fase di delicata transizione verso nuove, possibili forme. Un altro quarto di elettori ha consegnato questa grande speranza a una formazione totalmente nuova, proprio per evitare che la forma, come spesso accade, distruggesse i contenuti. Non si può tenere all’angolo un quarto di cittadini che di essere così generosi, vista la gravità dei tempi, potrebbero anche stancarsi.
Dell’altro quarto, pur rappresentato in Parlamento e davanti ai palazzi di Giustizia, in palesi atti eversivi di una gravità senza precedenti, c’è poco da dire: si tratta di una brutta ferita che sanguina pus da decenni, sottovalutata e anzi peggiorata con il concorso di una falsa opposizione e di un Presidente della Repubblica sconcertante fino all’ultimo. Anche per questo si spera nella limpidezza, nello stile e nei fatti, dei nuovi arrivati. Per i quali la strada sarà tutta in salita, come già si è dimostrato in questi primi giorni di legislatura.
Ma meglio in salita che schiavi per una poltrona: solo per quella salita, se mai ci sarà, passerà il vero cambiamento.