La gestione pubblica del debito sta pesando sulle nostre vite e ancor più peserà in futuro se non troveremo con urgenza soluzioni differenti da quelle che ci stanno calando irresponsabilmente dall’alto. A questo proposito può essere utile riprendersi Debitocrazia, libro di Damien Millet ed Éric Toussaint uscito in Italia nel 2011. Gli autori vi analizzano la crisi europea e, con riferimento all’esperienza ventennale del Cadtm (Comitato per l’annullamento del debito al terzo mondo) e ai suoi risultati positivi, propongono come via d’uscita la sospensione del pagamento del debito e l’istituzione di una Commisione di audit pubblico. Ciò per definirne legittimità o illegittimità e, in quest’ultimo caso, l’annullamento, facendo riferimento a precise norme del diritto nazionale e internazionale per ottenerli in modo legale.
Il libro è anche un atto d’accusa nei confronti dei vari governi, della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale, complici delle istituzioni finanziarie che, dopo aver prodotto la crisi, si arricchiscono sui debiti degli stati. E contro i piani di austerità, che producono conseguenze negative a catena: prolungamento della crisi; pressione delle società finanziarie e creditrici sulle popolazioni; crescità di povertà e precarietà; riduzione della protezione sociale; aumento degli squilibri e rafforzamento delle frange di estrema destra; risposta repressiva alle proteste sociali e scarsa garanzia dei diritti umani; mancato rispetto degli obblighi internazionali di aiuto allo sviluppo.
Vi si sostiene che la riduzione dei deficit pubblici andrebbe perseguita non con il taglio alle spese sociali, come si sta facendo, ma con l’aumento delle entrate fiscali (colpendo i grandi evasori e tassando transazioni finanziarie, patrimonio e rendite degli strati più ricchi delle popolazioni) e la drastica riduzione di alcune spese (in particolare quelle militari, e quelle inutili socialmente o dannose per l’ambiente). Accanto a ciò, sarebbero necessarie alcune misure concrete fra cui: il trasferimento delle banche al settore pubblico, sotto diretto controllo dei cittadini; la socializzazione di imprese e servizi privatizzati negli ultimi trent’anni; la riduzione del tempo di lavoro insieme alla rivalutazione di salari e pensioni; una differente ripartizione delle ricchezze come migliore risposta alla crisi.
In sostanza, una crisi frutto della logica capitalistica richiederebbe, per il suo superamento, innanzitutto il superamento di tale logica attraverso un cambiamento radicale della società, con il superamento del produttivismo e di ogni forma di oppressione e l’affermazione dell’agire ecologico, della giustizia sociale e dei beni comuni.
Come il Cadtm, altri movimenti un po’ dovunque in Europa stanno elaborando analisi e modalità di intervento che convergono su finalità comuni. Il loro coordinamento e il radicamento nei territori potrebbe aprire una nuova strada per una minima possibilità di futuro.
Il libro, rispetto all’edizione originale nel 2010, contiene un capitolo aggiunto a cura di Salvatore Cannavò, che aggiorna sulla grave situazione dell’Italia, simile ad altre in Europa e non solo. Ciò a conferma, se ce ne fosse bisogno, che il capitalismo funziona più o meno nello stesso modo sempre e dovunque.
A questo proposito può essere illuminante andarsi a leggere, nel capitolo precedente, alcuni passi del Capitale di Marx dedicati ai fenomeni finanziari. Sembrano scritti oggi, senz’altro per la capacità di previsione dell’autore ma anche e soprattutto per l’ottusità di chi si ostina a sostenere nei secoli un sistema di sviluppo imperfetto e iniquo, condannato a ripetere i suoi errori fino al limite dell’autodistruzione, trasferendone gli oneri sulle spalle degli altri.