David Graeber, antropologo anarchico e attivista di Occupy Wall Street, segue la sperimentazione sociale dei nuovi movimenti in risposta alla crisi del capitalismo e della democrazia tradizionale. Parla di un capitalismo kamikaze che, incapace di una risposta economica concreta, si allea con la politica adottando insieme ricette disastrose come i tagli alle spese. Anche le élites politiche, per parte loro, manifestano grossi limiti, in particolare due collegati tra loro: avere investito molte energie in una difesa ideologica del capitalismo come unico sistema possibile senza affrontarne le disfunzioni; aver perduto l’immaginazione e la capacità di pensare su lunghi periodi storici.
In un contesto del genere Graeber guarda con fiducia a quelle che definisce strategie di dualismo di potere, sostenendo che senza istituzioni alternative e forme di democrazia diretta non si costruisce una svolta. Secondo lui il comunismo è di fatto già presente in molte relazioni di cooperazione sociale e nella umana capacità di lavorare insieme. Meno ideologico e più pratico, viene però a sua volta sfruttato dal capitale. Vien di pensare che questa sia forse l’insidia maggiore da cui difenderlo.
Un’altra insidia presente è quella che Graeber definisce tirannia del debito, una sorta di imperativo morale che spinge intere popolazioni a privazioni dannose e alla conversione di parti sempre più ampie di vita umana in lavoro (nelle sue forme, viene di aggiungere, più selvagge e deregolamentate).
A quest’ultimo tema del debito, cruciale per il nostro presente e per la nostra comune sopravvivenza, dedica un libro di oltre cinquecento pagine (Debito. I primi cinquemila anni. Il Saggiatore 2012), da lui presentato qualche mese fa a Roma, al Teatro Valle Occupato.
Il libro mostra come l’istituzione del debito sia precedente a quella della moneta e come domini la sfera morale e umana, condizionandone l’autonomia e degenerando in conflitto sociale. Inoltre indaga la crisi attuale, determinata dall’abuso di strumenti finanziari prodotti da grandi banche al di fuori di ogni controllo, rivendicando la superiorità morale di cittadini e stati indebitati rispetto a creditori privi di ogni scrupolo, capaci anche di subordinare libertà e democrazia all’andamento dei propri affari.