Spero tanto che oggi la Cassazione annulli la sentenza di condanna per dieci manifestanti anti-G8 che undici anni fa a Genova rimasero coinvolti in disordini dalla regia molto sospetta. Per alcuni danni alle cose e non alle persone, perseguiti dai postumi del codice penale fascista per “devastazione e saccheggio”, rischiano in media dieci anni di carcere a testa.
Innanzituto ci si domanda come il principio di giustizia della pena commisurata al danno venga salvaguardato in un caso simile. Né si può ignorare che addetti all’ordine pubblico, condannati qualche giorno fa in Cassazione per il massacro dei manifestanti alla scuola Diaz (uno dei vari teatri genovesi delle violenze di stato del 2001), non sconteranno nemmeno un giorno di carcere.
La pratica della giustizia produce abnormità, specie quando accoglie influenze e pressioni. Con riferimento alla sentenza di oggi, esse potrebbero indurre a una pena esemplare per i manifestanti, anche a compensazione della avvenuta condanna delle forze dell’ordine, per niente usuale e vissuta come una sorta di lesa maestà.
Eppure quei dieci manifestanti sono oggi, di fatto, gli unici capri espiatori di una degenerazione dei poteri pubblici per niente limpida e anche poco indagata. Mai si smetterà di ripetere che chi aveva la responsabilità dell’ordine pubblico a Genova mirò scientemente a produrre disordini, colpendo con violenza e dovunque persone pacifiche e favorendo infiltrazioni diffuse. In vari filmati, per fortuna sfuggiti alla distruzione delle prove da parte delle forze dell’ordine, appaiono sedicenti black bloc “devastare e saccheggiare” sotto gli occhi della polizia con cui, in certi casi, conversano anche. Chi erano quei personaggi? A chi rispondevano del loro comportamento? O meglio, da chi prendevano ordini e istruzioni?
Sono convinta che chiunque a Genova, anche la persona più pacifica del mondo, trovandosi dentro una gestione pubblica del genere avrebbe potuto reagire: per legittima difesa, per paura, per esasperazione, oppure per riaffermare, in forma distorta a causa di una regia superiore distorta, un diritto a manifestare prima concesso e poi non garantito, anzi annientato con una potenza di fuoco senza precedenti.
Sono anche convinta che si trattasse, in quei teatri, di una prova aperta di regime in grande stile, per provare fino a dove ci si poteva spingere, lì e dopo in tutto il paese.
Purtroppo temo che la sentenza di oggi, anche se in scala, possa diventare figlia dello stesso meccanismo, in uno scenario totalizzante per certi versi anche più pericoloso, perché riarticolato e rafforzato da una crisi che giustifica tutto, anche l’assenza di democrazia.