Stanza numero cinque

Rigida la colonna vertebrale
lega col filo a piombo
il lavoro degli occhi
come ti batte l’orologio
dal torace al cervello, suo
il ritmo del corpo
e la mansarda è due soffitte
unite abitate per forza
dove stenderai i panni
dove la vita vera se quel
lucernario ti fa troppo sola
troppo vicina al cielo
in un ronzare d’orecchi
in frastornato silenzio

abiti i ripostigli
d’una caserma quadra
vedi appena il cortile
e sguardi al davanzale
quando esci la sera
e l’amore dei gatti
è un lamento straziante
rivolto a nessuno
tieni prudente il canarino
in gabbia, ignara del
rispecchiamento

come in una clausura,
filo di voce e poi lo scatto
che serra il portone
dentro la chiesa qualche oggetto
e nessuna memoria
sacra e violenta quell’assenza
non va oltre il portale (1996)

Questa voce è stata pubblicata in scritti personali e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.