Scrivo versi da sempre, in una specie di esercizio partito da poesie brevi, simboliche, dal ritmo appoggiato su suoni secchi e ripetuti e dalle metafore necessarie. Poi il verso si è gradatamente allungato e addolcito, fino a perdersi quasi nella prosa. Questa parabola ha toccato il suo culmine negli anni Novanta, quando ha preso vita un lungo racconto dalle forme ancora poetiche. Avrei incontrato la prosa subito dopo, inaugurando una scrittura dai binari distinti, prosa e poesia, che si è mantenuta fino ad oggi.
Tornando a quei versi degli anni Novanta, oggi li definirei insaturi, per la loro diluizione imperfetta nella prosa. Benedetta quell’imperfezione, perché ha permesso alla mia voce poetica di sopravvivere a un forte bisogno narrativo altrimenti inconciliabile. E poi di riprendersi la sua autonomia, per quel parallelismo che ancora pratico scrivendo alternativamente in poesia e in prosa (narrativa, saggistica o mista, come in questo blog).
Sono proprio quei versi insaturi che mi hanno fatto tornare, oppure arrivare, a forme più dense e strette.
Non so se la mia scrittura ha un andamento circolare o lineare, se la poesia di oggi sia un’evoluzione di ciò che l’ha preceduta o se si tratti davvero di un nuovo inizio. So però che devo riconoscenza a quei versi spuri, anche perché mi hanno fatto portare dentro la poesia un mondo che andava in frantumi, mediato dalla resistenza del filtro culturale.
Allora si stava consumando in diretta il suicidio del Novecento. E dei suoi ideali, spazzati via in Italia dal vuoto del decennio precedente, il cosiddetto riflusso (termine orribile con cui si definiva la fine dell’impegno degli anni Sessanta e Settanta, distrutto dal delirio terrorista e dalla repressione di stato), poi riempito dalla telenovela berlusconiana.
Esattamente in quel passaggio ho cominciato a esprimermi in modo differente, insaturo come la vita che osservavo e vivevo. Ne scompongo oggi il risultato in sezioni dalla struttura irregolare, chiamate stanze per indicare spazi provvisori nei quali la realtà ha cercato rifugio. E compensazione, in uno stile impossibile come tutto il resto. Ciascuna stanza ha un numero progressivo che indica fedelmente la successione dei fatti narrati.
Non so se tutte le stanze usciranno nel blog né se vi metterò mano per avvicinarle di più allo stile di oggi. So però che gli scenari che le hanno generate sono quelli da cui sono derivati quelli attuali, ancora peggiori per le conseguenze di giorno in giorno sempre più estreme. Soprattutto per questo ho deciso di aprire il cassetto, liberando la voce che avevo vent’anni fa, alla ricerca di quel riscatto che un paese condannato a ripetersi ancora oggi ci nega.