Mentre la Grecia allo stremo mostra al mondo come finisce un paese stritolato dalla dittatura internazionale della finanza, da noi circola la notizia che ci sarà pane fresco in vendita anche la domenica. In Italia, dove intanto si muore di neve, si tratta di un bel passo avanti sulla via dello sviluppo, definito da una lista di nuove liberalizzazioni che più che altro è una lista della spesa. L’invito a comprare vi è esplicito, cosa non importa. Ad esempio medicine che, alla faccia della prevenzione, saranno promosse ovunque da nuove farmacie (ben cinquemila in più, in un paese di soli ottomila comuni).
Il pane domenicale può essere letto come un condensato efficace della ricetta neoliberista. Il procedimento è semplice: si offre una nuova occasione di consumo non indispensabile perché crei un nuovo bisogno e dunque nuove vendite, ma anche nuovi sprechi, una concorrenza più aggressiva e turni di lavoro ulteriori, anche nei giorni festivi. Il tutto nel paradosso di una crisi che nega il pane ogni giorno a fasce della popolazione sempre più ampie e disagiate.
Mollica morbida, crostra croccante e odore fragrante del pane a domicilio, insieme a brioche e giornali di regime: comincerà così la domenica del giovin signore?
Sono in cucina e guardo la ciotola di terracotta dove conservo il pane vecchio da tostare o per farci pappa e ribollita come mi hanno insegnato i toscani. Guardo anche il tagliere di legno dove riposa il pane di ieri, pronto per essere mangiato oggi. E sono convinta di due cose: che sia un privilegio avere l’uno e l’altro e che mai comprerò pane alla domenica. Mai.
E così le ultime, piccole differenze tra un giorno di festa e uno lavorativo (sopravvissute a fatica al consumo sfrenato di merci, ma anche di luoghi, persone e relazioni trattate come merci) vanno sparendo nell’idrovora di uno pseudosviluppo che risucchia tutto: il tempo per sé e per gli altri, il ritmo naturale – biologico, psicologico, affettivo – delle persone; il cibo come bene necessario (e non come lusso e spreco); il lavoro come parte di una dimensione umana complessa che richiede equilibrio; la comunicazione come scambio autentico e orizzontale. E non verticistica, demagogica, strumentale, manipolata, deviata… Cosa dicono del pane alla domenica le agenzie governative, gli uffici stampa dei partiti, le pagine dei giornali? Cosa dicono del lavoro domenicale le omelie domenicali? E quelle giornaliere dei sindacati o dei consumatori? Dicono tutto bene, e avanti così. Fino allo schianto finale.