L’autobus era lento, di un rosso sbiadito, un rottame mantenuto in vita dalla gente del luogo. Che ci andava al lavoro, con gli occhi stanchi, stretti per un sole in salita offuscato dal caldo. Dai finestrini non si vedeva il paesaggio, ma un bagliore diffuso che respingeva la vista. Lui c’era sopra e andava, dove non lo sapeva, decideva di minuto in minuto.
Mise a fuoco due uomini seduti in fondo, tesi e vigili, come chi osserva la preda e prepara uno scatto da cattura. Dal suo posto poteva distinguere lo sguardo dell’uomo più alto, perso chissà dove per camuffare l’intenzione. L’altro, leggermente proteso, rivolgeva al vicino parole distratte e confidenziali.
Saltò giù dall’autobus con un volo netto, preciso, senza prevederne il seguito. Si mantenne sulla scia del moto fino a quando ne fu sostenuto, poi diventò oggetto di una blanda espulsione, come qualcosa che si è perso correndo e finisce in terra senza più funzione.
Sentì uno strappo al piede destro e poi una fitta risalire la gamba fino all’inguine. Questione di equilibrio, pensò, come sempre, anche nell’imprimere quella forza al corpo per dargli salvezza. Non pensò al danno, strinse i denti e corse, poi con passi sempre più distesi s’inserì nel ritmo di chi passava e batteva l’asfalto aderendo a una catena di montaggio inarrestabile.
Temeva i loro occhi, puntati sulle spalle in fuga per seguirne la direzione. Tutto però fu breve: un attimo per saltare fuori, e poco più per sparire dalla vista dei finestrini di coda.
Presto l’asfalto divenne polvere e sassi, poi sabbia gialla, sottile, che gli pungeva gli occhi e i polmoni spalancati nella corsa. Devo nascondermi, pensò, e una nausea subdola gli risalì lo stomaco, perché era stanco di cambiare tana. Reagì con una stretta dei muscoli e un passo più deciso.
Non aveva più nome, ne apparivano tanti nei documenti che esibiva ogni volta e puntualmente distruggeva. Andava così, in marcia disperata e continua, per adesione quasi involontaria agli eventi, assente da sé. Si chiedeva quale identità si nascondesse dietro l’angolo miope dei suoi occhi, che sfumava i contorni, perché neanche lo sguardo forse gli apparteneva. Si impigliava a dettagli indecifrabili e vi restava sospeso.
Voltarsi indietro ostacolava il presente, guardare avanti confondeva il passato. Anche quando la sera, al ritrarsi della luce, poteva concedersi una sosta, lo sconcerto per un presagio indefinito gli bloccava i ricordi. Rari affioravano dal fondo di sonni scuri e spessi, simili al sintomo d’una malattia. Erano tracce di un tempo senza scelte né gesti definitivi. La ribellione venne dopo, ma per cosa? La libertà era persa comunque, perché il pericolo ne faceva altro: pause e riprese per incroci e strade, treni, aerei, corse a piedi, fino al sollievo temporaneo di qualche nascondiglio. E il corpo perdeva liquidi e peso a ogni inseguimento, la carne si stringeva sotto la pelle che gli cadeva addosso come un vestito troppo grande.
Un indizio di stagione, colto dal cambio d’inclinazione della luce, a volte lo consolava. In quei momenti riusciva a immaginarsi in una casa, seduto su una sedia davanti a una finestra, a osservare la bellezza di un cielo in movimento. Essere dentro il tempo, questo avrebbe desiderato. Invece era solo dentro i suoi passi, con i piedi consumati nel raggiungere un oltre che si spostava continuamente: dopo tetti, cancelli e cemento, dopo finestre inutili, dopo gli spazi aperti ai margini delle periferie, dopo i campi.
Attraversata la città di isolato in isolato, sfiorando il calore che evaporava dai muri, raggiunse una landa di cardi, stoppie e roccia, interrotta dal mare. Dalla terra arsa spiccavano ruderi di pietra bianca a forma di torre. Al sole diventavano cangianti, s’illuminavano come stelle chiare sopra un mare fermo, color ocra.
Scelse una torre a caso e vi entrò, superando l’arco d’ingresso privo di porta. Da un atrio vuoto in terra battuta salì ai due piani superiori per una scala di blocchi grezzi come roccia di scoglio, fissati uno sull’altro da un asse ritorto. Tutto era in pietra, pavimento, pareti e tetto a terrazza, e solido, capace di resistere a ogni attacco, della natura e degli uomini. Lì attorno il sole aveva prosciugato la terra fino a farne paglia e sassi, il mare l’aveva azzannata e trascinata via pezzo a pezzo. Uomini l’avevano invasa, per disperazione o per rabbia. Quella era la storia, e lui ora ne pareva un superstite. Tutto era calmo, ormai, cambiato di forma e senza vita umana: il mare aveva assottigliato la costa, il sole ridotto la terra a sabbia scura, il vento caldo aveva modificato i confini, spingendo gli abitanti più a nord.
Salito al piano superiore, in una stanza trovò i resti di un giaciglio e di un grande camino contenuti da cornici in pietra dal bordo consumato. Un arco portava ad altre due stanze, comunicanti tra loro. In tutte s’aprivano finestre minuscole, sproporzionate rispetto allo spessore dei muri. Somigliavano a quelle d’una prigione, ma non avevano grate e offrivano alla vista una libertà sconfinata, scorci di mare azzurro e di cielo.
Respirò forte e desiderò di essere più in alto e fuori, nello spazio aperto. Salì le ultime scale con lo slancio di un ragazzino e si trovò con gli occhi a filo dell’orizzonte e il naso dritto al vento, agli odori. Erano di terra e mare, mescolati, e gli liberarono il corpo dalla mente e dal tempo. Rimase così fino a sera, e al calare del caldo la stanchezza lo sorprese crollandogli addosso. Trascorse la notte senza pensieri né sogni, disteso nella cornice del camino. Era come un fuoco quasi spento, adagiato a terra per ravvivarsi.
Il sole risalì troppo presto per la sua stanchezza e qualche spillo di luce gli punse le palpebre. Si alzò alla ricerca dell’acqua, inutilmente, e si fermò davanti a una finestra per ricordarsi dov’era. Uscito all’aperto si spinse fino al mare, abbandonò i vestiti sulla riva ed entrò. Nuotando un’energia nuova gli attraversò il corpo. Così, più leggero e più forte, si lasciò il mare alle spalle e batté con passo sicuro la parte di spiaggia più vicina ai campi e ai pascoli bruciati. Poi prese a salire, tra i cespugli ruvidi e poche piante grasse dalle forme bizzarre. Non c’erano né frutti né fiori o segni di passi, soltanto tracce d’animale minute come ricami, appena coperte da polvere di terra mista a sabbia.
Vide una sagoma scura risalire lo strapiombo, schivando ogni sbalzo del terreno. Era un uomo, forse, sotto un abito grande senza forma, con il capo coperto da un lembo. Quando gli fu più vicino, sotto lo sguardo fermo scorse un inizio di sorriso e lo riconobbe. Erano fuggiti insieme appena in tempo, una rete d’aiuto ai fuoriusciti aveva procurato loro documenti falsi, denaro e contatti per i primi spostamenti.
Prima non si conoscevano, e poco sapevano l’uno dell’altro. Provenivano da regioni diverse: lui da una terra languida adagiata sul mare, l’altro da prati stesi ai piedi di montagne acute, un’aritmìa sullo sfondo del cielo. Erano espatriati insieme, con poche parole, sguardi solidali ed esecuzione sincrona delle istruzioni di fuga. Poi le loro strade si erano divise, e ciascuno si era fatto carico del proprio straniamento.
Ora quel carico ritornava comune, con poche parole asciutte, spinte fuori a fatica. Cominciò l’altro.
– Ti stanno inseguendo.
– Sono in due, li ho visti.
– Stanno battendo città e periferia, tra poco saranno qui…
E si riavvolse intorno al capo il panno scivolato sulle spalle.
A lui sfuggì una smorfia, perché era quasi nudo e in pieno sole.
L’altro aggiunse:
– Ti ho raggiunto per avvertirti, e ho disobbedito…
Nella gestione delle perdite uno era meglio di due, questo insegnava l’organizzazione. Inoltre, due bersagli differenti impegnavano di più il nemico. Disperdersi era obbligato. Invece loro erano insieme, senza copertura e senza mezzi. In quella terra circondata dal mare si sentivano in trappola, come assediati da un esercito intero.
– Cosa facciamo?
L’altro non rispose.
Non sapevano da dove venivano gli altri, dalla città si diramavano tante strade e ciascuna si congiungeva alla costa in un punto differente. I litorali, poi, erano spogli e inabitati, l’occhio poteva spaziare e le armi colpire da lontano. Pensavano a questo, senza dirselo.
D’istinto presero a camminare nella direzione che ciascuno disegnava completando la traiettoria incerta dell’altro. Fu allora che davvero si conobbero, il loro passato emerse improvvisamente nel poco tempo che restava.
La dittatura, iniziata quasi per scherzo, era diventata guerra senza confini, persecuzione feroce. Non si erano salvati né monti né campagne, né città né casolari sperduti. Gli scampati resistevano organizzandosi, mettendo insieme senso pratico e umanità. C’erano fosse comuni dovunque e cimiteri improvvisati, e gente che sfuggiva alle raffiche di rappresaglia. Molti ormai erano esuli, alcuni però erano stati raggiunti da spie che minavano le reti di sostegno straniere. Loro erano stati scelti per ricostruire cellule di contatto con l’estero, prima in patria, e poi in terre così lontane da sembrare sicure. Ma non esistevano più terre sicure, ovunque agiva l’annientamento. Sulle loro teste c’erano taglie così alte da farli sorridere. Si credevano roba da poco, eppure i due inseguitori dovevano catturare uno di loro, uno soltanto, per un compenso enorme.
Una reazione gli crebbe in corpo, così improvvisa e violenta che l’altro si stupì. Tutto lo esasperava: essere ricercato per soldi sminuiva il suo sacrificio fino a farne una specie di commedia. Inoltre, la dittatura era così lontana da lì da sembrare irreale. La disobbedienza del compagno, poi, era assurda, come l’inseguimento in quell’isola in faccia al mare ma senza via d’uscita. Gridò basta con tutto il fiato che aveva. Nemmeno sentire vibrare le corde vocali dopo mesi di silenzio gli ridiede fiducia. Crollò a terra cercando una posizione tutta sua, definitiva. Chiese all’altro di proseguire e di lasciarlo esposto al vento e alla marea che sarebbe cresciuta. La corrente lo avrebbe trascinato chissà dove, consumandolo fino a sparire.
A quel punto si udì da vicino un rumore ripetuto, simile alla cadenza di un passo. L’altro lo prese per un braccio e lo trascinò con forza dietro un cespuglio. Da lì puntò l’unica torre visibile nel raggio di molti metri e con uno strappo ancora più violento lo trasportò oltre l’apertura d’ingresso.
Forse erano davvero molto vicini. Da dove provenivano, altrimenti, quei piccoli tonfi regolari, riassorbiti ogni volta dal silenzio immobile di quella landa? Il rumore del mare era differente, un sottofondo che si riusciva perfettamente a distinguere. Mentre l’altro pensava così, guardò da una fessura tra le pietre del rudere e li vide. Avanzavano cauti ma decisi proprio in quella direzione. Il compagno si sollevò da terra, osservò, li riconobbe. Era lui che cercavano, lui e basta. Guardò l’altro negli occhi e ricomprese il senso di essere in due, uniti idealmente ai luoghi della ribellione. Loro la praticavano anche lì, in quella terra isolata, in quella grande prigione all’aperto.
Salirono la scala sconnessa e si appostarono per controllare dalle feritoie le mosse dei due. Li videro tornare sui loro passi, percorrendo lentamente all’indietro la strada già fatta. Forse stavano cercando tracce. Diventarono sempre più piccoli, fino a sembrare formiche nella terra ocra, appena distinguibili e apparentemente innocue.
Eppure si conosceva la loro ferocia, la loro lucida spietatezza. A volte li spingeva il tornaconto, a volte li esaltava la violenza gratuita, esercitata quasi per capriccio. Sull’autobus li aveva visti, avevano gli occhi vuoti. Erano uomini anche quelli?
Scese un’altra notte, che coprì il rudere e la loro attenzione. Decisero i turni di guardia ma lui non chiuse occhio, nemmeno durante la sua pausa. Guardò continuamente nel buio e ascoltò. Sarebbero tornati proprio di notte, per ucciderlo nel sonno: questo avrebbero fatto. Ma lui non era solo, e loro non lo sapevano.
Tutto accadde in un attimo. Un rumore breve, secco, salì dal piano di sotto mentre il suo compagno dormiva. Lui scese la scala veloce e silenzioso, attento a non svegliarlo.
Erano sulla soglia, immobili e senza espressione. Si consegnò senza una parola e prese a camminare tra loro. A ogni passo il suo coraggio cresceva, insieme alla speranza che l’altro avrebbe capito. Chissà cosa stava sognando: forse il suo risveglio, solo, e la sua salvezza.