La crisi economica globale è ormai una realtà. Dipende da un modello di sviluppo sbagliato e da incapacità e disonestà politiche locali, in Italia accumulatesi nel tempo fino a produrre un deficit spaventoso. Chi ha tentato in tutti i modi di occultare il disastro, operando a proprio favore con una scelleratezza senza limiti proprio perché ne era a conoscenza, oggi lo ammette descrivendolo come un destino ineluttabile, una catastrofe piombataci addosso all’improvviso. Nel governo c’è chi dice che “in questi cinque giorni tutto è cambiato, tutto è precipitato”, come se un’apocalisse del genere possa prodursi in soli cinque giorni. C’è anche chi dice, con un linguaggio metaforico che di solito non gli è proprio, che “la realtà è venuta a trovarci”. Viene da dire: o dai tempi di “ce l’ho duro” questo personaggio ha letto molto oppure è stato colto da una folgorazione momentanea, da una manifestazione improvvisa del soprannaturale. Intanto qualcuno dell’opposizione dichiara che al governo non deve tremare il polso, e infatti non gli trema proprio mentre snocciola una lista di minacce: modifica della Costituzione (la tentazione di toccarla c’è sempre, e qualche scusa per farlo va trovata), taglio degli stipendi, licenziamenti. Invece dovrebbe tremargli il polso, eccome, a far pagare il prezzo della crisi a chi non ne ha colpa, preservandosi. E magari preservando, per antico spirito di casta, anche chi ha governato in passato ma oggi non se ne ricorda più.
A sentire le notizie che circolano in questi giorni l’impressione è che tutti questi signori in pubblico si scambino battute da bar, mentre nel retrobottega hanno già iniziato la bagarre per chi dovrà diventare il grande liquidatore dell’azienda Italia ormai in fallimento. Con tutti i vantaggi che questo comporta: cessioni e privatizzazioni non certo per risanare ma per svendere in fretta e a basso costo quel poco che c’è rimasto, garantendo ai soliti noti l’ultimo bottino.
Nel frattempo, in un afflato da unità nazionale, governo e opposizione consumeranno l’ennesimo attacco a ciò che resta dello stato sociale e a una possibile ripresa dal basso. Ripetendosi che è il senso di responsabilità che li unisce e ripetendoci che si tratta di un sacrificio, il loro, necessario. Come del resto i nostri, passati presenti e futuri, mentre il topo resterà nel gruviera fino a farci l’ultimo buco.